domenica 1 marzo 2015

Il tempo raccontato dai miei miti

«Panta rei», affermò Eraclito, attestando l’effimera durata dei giorni, l’incessante mutamento delle situazioni, l’ineluttabile scorrere del tempo: «Tutto scorre». 

E mai come oggi, nella nostra inesistente corsa contro il tempo, tale frase sembra ancora valida e universale, ancora densa di significato. 

Cos’è il tempo? «Se nessuno mi interroga lo so, se volessi spiegarlo a chi mi interroga non lo so», disse Sant’Agostino. Infatti noi una definizione assoluta di tempo non possiamo fornirla; tuttavia settorialmente il tempo assume significati e valori differenti. Ma da dove deriva il tempo? La cosa più sconcertante è proprio che il tempo l’abbiamo creato noi uomini e ne siamo diventati schiavi, senza comprendere che il tempo siamo noi e che basterebbe bruciare gli orologi per sconfiggere questo tiranno sanguinario che ci ruba la vita, la giovinezza, la felicità. Erasmo da Rotterdam in Elogio della Follia scrive «Se i mortali si guardassero da qualsiasi rapporto con la saggezza, la vecchiaia neppure ci sarebbe. Se solo fossero più fatui, allegri e dissennati godrebbero felici di un’eterna giovinezza.  La vita umana non è altro che un gioco della Follia.»

E l'uomo, immancabile distruttore, ha inventato un nemico della Follia, ovvero il tempo, il quale condiziona la vita mentale di ognuno di noi, che, giunti ad un’età matura, le cui cifre sono stabilite dal tempo, ci sentiamo autorizzati e destinati brutalmente al disfacimento, alla tristezza, alla morte. Ed in funzione del tempo viviamo la nostra vita, affannandoci durante la giovinezza a cogliere ogni frutto e ogni occasione, per sopperire ad una preminente vecchiaia che risucchierà ogni energia vitale, come affermarono già Orazio col suo «Carpe diem» e Lorenzo il Magnifico ne Il trionfo di Bacco e Arianna: «Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto sia: del doman non c’è certezza.» 

Ma perché questa distinzione? Infondo, giovani o vecchi, tutti riponiamo speranze nel futuro, come dimostra Leopardi ne Il sabato del villaggio: ricorrendo ai personaggi simbolo della “donzelletta”, che rappresenta l’aspettativa e l’illusione giovanile, e della “vecchierella”, che invece rappresenta l’età adulta, mostra come l’uomo abbia bisogno, per essere felice, dell’attesa speranzosa in un avvenire, che poi si rivelerà deludente. Il sabato è l’emblema del sabato della vita,  piena di aspettative per il futuro, ma destinata alla delusione della domenica. Perciò la conclusione della poesia è un invito a concentrarsi sul presente, senza fossilizzarsi su quanti minuti trascorrono, senza calcolare metodicamente ogni attimo dell’esistenza, rendendo eterno ogni nostro evento. Il tempo non può e non deve ostacolare né i nostri pensieri né le nostre azioni: velocità e lentezza sono termini relativi, poiché il manifestarsi dell’animo umano non può essere quantificato come un’equazione matematica, non può terminare con uno zero, perché la ricchezza dell’animo non esiste in funzione del tempo, ma in funzione delle passioni, delle emozioni, delle utopie. E le lancette dell’orologio non possono incalzare il cuore ad esprimere velocemente i suoi sentimenti, non possono giudicare, in base alla velocità, l’intelligenza di una persona e soprattutto non possono programmare e scandire con una severità opprimente e angosciosa la vita di ognuno di noi. 

«Il tempo scorre e non trascorre mai» intona una canzone e continua dicendo «a volte non esiste»: raggiungere la non esistenza del tempo significherebbe vincerlo. Cosa significa lo scorrere del tempo, se non il passare delle nuvole, gli uccelli, le persone per strada…? Eppure il tempo maledettamente ci condiziona e non riusciamo a fare a meno di guardare l’orologio, per paura di far tardi o con la speranza che passi in fretta. Lo stesso Seneca affermò che «il tempo è l’unico bene che neppure chi voglia mostrarsi riconoscente può restituire», perché ognuno di noi ha a sua disposizione solo una vita: una sola! E vuol raccogliere in questa vita tutto ciò che essa può offrire, di positivo, di negativo, di insipido, di inutile, di vuoto: tutto, senza mezzi termini. Ma qualcosa sfugge, perché l’uomo, impegnato nella ricerca di questo “tutto” perde di vista il senso della propria vita e, cosa peggiore, la felicità. 

E volevo chiudere così:
«Ma che cosa è mai questo tempo che ci misura senza misura e ci uccide senza essere? Ed è in  questi momenti, in cui non so nemmeno se il tempo esiste, che lo sento come se fosse una persona.», Fernando Pessoa ne Il libro dell’inquietudine.

The persistence of memory - Salvador Dalì, 1931 (Museum of Modern Art - New York)

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