Tutti conosciamo il mito di Pandora e del vaso che Zeus le regalò con l'ordine di non aprirlo, così come conosciamo le avventure di Ulisse terra marique con i suoi compagni. Sappiamo anche che entrambi peccarono di quella che i greci chiamavano ὕβϱις (ubris), ovvero di superbia contro il Fato: Pandora aprì il suo vaso e Ulisse oltrepassò le colonne d'Ercole, luogo proibito agli uomini.
Ognuno di noi, ogni giorno, pecca di ὕβϱις o, meglio, di quella che comunemente vien chiamata curiosità. Nonostante i molti elogi in suo favore, la curiosità non si limita ad essere sintomo di intelligenza e di ambizione, ma di desiderio e istinto: due elementi a dir poco ambigui, sia all'epoca dei grandi miti e dei portentosi eroi, che ai nostri giorni. La curiosità è il desiderio di sapere qualcosa, di vedere con gli occhi, di toccare con mano. La grande letteratura, a partire dalla Bibbia e dai Vangeli, ne parla come di un qualcosa di deleterio per l'uomo: Eva vuol sapere se il frutto proibito abbia realmente la capacità di renderla simile a un dio, perciò lo assaggia; San Tommaso vuol toccare con mano il costato del Cristo risorto altrimenti non crede alla sua resurrezione; Icaro volle volare così in alto che le sue ali di cera si sciolsero al sole; Faust era così smanioso di avere tutta la conoscenza del mondo, che vende la sua anima al diavolo.
Il concetto del "se non vedo, non credo" si articola nei nostri animi più frequentemente di quel che siamo abituati a pensare. Corriamo a cercare di continuo risposte o conferme, che si tratti di una ricerca sul dizionario o su Google, o che si tratti di una reale difficoltà a credere alle parole altrui: sfidiamo la sorte mettendo a dura prova chi ci sta intorno, oltre che noi stessi, poiché non ci basta credere ed aver fede, vogliamo quel di più. E quella certezza per cui smaniamo tanto, si risolve in un'apocalisse. Aperto il vaso, Pandora scoprì che da esso fuoriuscirono tutti i mali del mondo: la fatica, la malattia, l'odio, la vecchiaia, la pazzia, l'invidia, la passione, la violenza, la guerra e la morte; mangiando la mela, Eva scoprì che l'unico effetto sortito fu la cacciata dal Paradiso e la condanna ad una vita che conosce la sofferenza; passate le colonne d'Ercole, Ulisse e i suoi compagni vengono travolti da un turbine divino.
Ma questo non ci scoraggi alla scoperta quotidiana, seppure misurata in virtù della pace e della serenità e sopratutto della salvaguardia di se stessi, perché:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
(Dante, Inferno XXVII, vv.118-120)
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